Se Dickens fosse vivo oggi di sicuro avrebbe un blog letterario, twitterebbe… Comincia parlando di lui un convincente articolo del Guardian (di Henry Porter) che smonta l‘attacco di Franzen agli e-book. L’autore ricorda che Dickens negli ultimi anni andava in giro per letture pubbliche, di strada in strada; stanco, ma con l’urgente bisogno di un contatto con i lettori. Letture che preludono ai moderni festival letterari, e che ricordano come l’interesse primo di ogni scrittore sia ancora quello di comunicare.
Viene in mente questo – continua l’articolo del Guardian – quando si legge che l’e-book per Franzen è vissuto come minaccia del senso di permanenza del libro stampato, e che gli sembra incompatibile con un sistema basato sulla giustizia e sull’autogoverno responsabile.
Se il mondo stampato fosse il guardiano dei valori democratici, come mai nel Paese in cui nel 1439 Gutenberg inventò i caratteri mobili, in quel Paese cinquecento anni dopo si sprofondò in un inferno totalitario in cui i libri e la loro conoscenza furono soppressi nei roghi? L’inchiostro su carta non è più garante di un buon governo di quanto lo siano i dipinti a olio su tela . Dunque l’e-reader non è il barbaro alle porte; i governi diventano corrotti e la società civile è perduta per altre ragioni.
Quello di cui probabilmente Franzen si rammarica è che le persone che usano gli e-reader possano non dare un’attenzione seria a un suo libro, che com’è noto richiede condizioni di monastico rigore che esclude la connessione a Internet. Come molti, anche lui crede che siamo diventati lettori vuoti, meno capaci di focalizzare il significato profondo dei libri.
Questa ortodossia sul nostro deficit di attenzione non è provata, ma il punto è che abbiamo ancora una scelta tra stampa e schermo, e che questa scelta rimarrà.
Ma tornando alla pittura a olio, a Londra ci sono tre straordinarie mostre, di Gerhard Richter, David Hockney e dell’ultimo Lucian Freud.
In maggioranza gli artisti usavano la pittura a olio, tecnica inventata in epoca di Gutenberg probabilmente dal pittore fiammingo Jan van Eyck. Fotografia, cinema e immagini digitali hanno fatto la loro comparsa, ognuna di loro certa che avrebbe reso ridondante il lento processo della pittura a olio. Ma questo non è mai successo. Nel Ventunesimo secolo Richter, Hockney e Freud ritengono ancora di poter esprimere la loro risposta al mondo fisico, o quello che turbina nelle loro menti, con dipinti a olio su tela.
L’umanità si evolve facendo delle aggiunte ai mezzi disponibili di espressione di sé e comunicazione, e pochissime forme di tecnica sono eliminate nel processo, il che è un motivo per celebrare le possibilità di questo eccezionale momento storico. In particolare, oggi nessuno dimostra l’apertura mentale e il tipo di intelligenza contestuale necessaria più di Hockney, che fa lo stesso paesaggio con colori a olio, acquerelli e persino con l’iPad. E anche con una batteria di videocamere montate su un furgone che si muove lentamente lungo un viottolo.
Oggi leggiamo una grande quantità di testi. Libri e giornali di carta e su Internet, mail, social network… La verità è che i libri seri come quelli di Franzen devono competere per avere il nostro tempo, che siano stampati o su uno schermo. Ma se un libro è buono gli sono concessi lo sforzo e la riflessione.
L’idea che stiamo diventando incapaci di attenzione continua, come sostengono alcuni testi scientifici, – sostiene l’articolo del Guardian – non regge. In realtà, invece, il web ha aumentato la nostra intelligenza collettiva. Siamo più informati, capaci di afferrare le cose in modo più veloce rispetto a vent’anni fa.
La nostra intelligenza si sta evolvendo e quindi anche gli scrittori e la loro intelligenza si evolvono. L’e-book è parte di ciò e gli scrittori dovebbero cogliere l’opportunità, con tutta la mancanza di imbarazzo e sorpresa che Hockney dimostra usando l’iPad.
Anche ammettendo che oggi le persone siano meno in grado del passato di dedicare l’attenzione necessaria a una grande opera d’arte – il che non è affatto dimostrato – non dovremmo dimenticare che gli editori e il clero editoriale temono più la rivoluzione dell’editoria per ragioni cattive che buone. Ragioni – conclude il Guardian – che riguardano la perdita di influenza e di guadagni più che l’interesse per il nostro nutrimento letterario.